Napoli è una città piena di storia e cultura, con un passato ricco di comunità che hanno contribuito a plasmare il suo tessuto sociale. Tra le varie testimonianze, l‘antico quartiere ebraico sorge come un affascinante scrigno di memorie, dove le storie delle giudecche si intrecciano con la modernità.
La storia ebraica a Napoli risale a moltissimo tempo fa. Gli ebrei risiedevano tutti nelle tre giudecche. Una prima giudecca, così come ha affermato Gino Doria, risale molto probabilmente al Medioevo ed era chiamato Vicus Iudeorum. Oggi è l‘attuale Vico Limoncello, che è situato tra il Decumano Superiore e Via Della Consolazione, alle spalle dell‘Ospedale degli Incurabili. Nello stesso luogo c‘era anche la Chiesa di San Gennaro Spogliamorti, chiamata così per l‘antica tradizione di “spogliare“ i morti dai propri affetti e rivenderli al mercato degli ebrei, che si trovava appunto lungo la strada.
La seconda giudecca era quella situata a Forcella, instaurata più avanti nel tempo, forse ai tempi di Federico II. Possiamo però affermare con certezza che era situata in un punto abbastanza periferico di Napoli e che durò circa un secolo. In questo periodo in realtà gran parte della comunità ebraica si trovava a Salerno. Questo possiamo confermarlo grazie ai numerosi traffici fatti nei mercati durante la Fiera Di Salerno, che si teneva due volte all‘anno. Quando poi gli angioini stabilirono che Napoli dovesse essere il centro del regno, sia economico che politico, gli ebraici si spostarono nuovamente molto vicini al porto.
L‘ultima giudecca fu chiamata “nuova“ e ad oggi non esiste più a causa del Risanamento, quando fu abbattuto il quartiere medievale di Napoli. Nei suoi ultimi anni fu definita “Via Giudecca Grande“ dato che si estendeva fino al Borgo Degli Orefici. La giudecca era situata vicino San Marcellino, luogo strategico in quanto si trovava vicino al porto, che Carlo d‘Angiò aveva ingrandito e potenziato precedentemente. Inoltre si poteva facilmente raggiungere la nuova Piazza Mercato, che diventò appunto il mercato cittadino.
Successivamente arrivò il Viceregno, e sotto la guida di Pietro di Toledo, nel 1540 furono cacciati tutti gli ebrei da Napoli. Il pretesto per allontanarli fu il fatto che gli ebrei fossero ritenuti usurai e che avessero l‘abitudine di derubare i cadaveri, cosa che andava contro la religione. Durante il periodo di esilio, la comunità ebraica napoletana trovò rifugio in luoghi più accoglienti, spesso nei territori sotto il controllo di sovrani più tolleranti. Nel 1734, con l’ascesa al potere della dinastia borbonica, guidata da Carlo III, gli ebrei ottennero il permesso di fare ritorno a Napoli. Questa decisione rifletteva un cambiamento nelle politiche religiose e un desiderio di stabilizzare la società dopo anni di conflitti. Il periodo di permesso fu relativamente breve. Nonostante la temporanea riapertura delle porte della città agli ebrei, le pressioni politiche e sociali cambiarono nuovamente il corso degli eventi. Nel corso del XVIII secolo, la comunità ebraica napoletana dovette affrontare nuove restrizioni e discriminazioni, culminando con l’emanazione delle cosiddette “leggi ebraiche” nel 1747. Queste leggi limitarono drasticamente le attività economiche e sociali degli ebrei, costringendoli nuovamente a lasciare la città.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Napoli subì pesanti bombardamenti, e la comunità ebraica fu coinvolta nella persecuzione nazista. Molti ebrei furono costretti a fuggire o furono vittime dell’Olocausto. Dopo la guerra, la comunità ebraica di Napoli cercò di ricostruirsi, mantenendo viva la propria identità e contribuendo alla ricostruzione della città.
Attualmente, sebbene la comunità ebraica di Napoli sia numericamente ridotta rispetto al passato, continua a esistere e a giocare un ruolo significativo nella vita culturale e sociale della città. La Sinagoga Scola Grande, restaurata dopo i danni della guerra, è un simbolo tangibile della resilienza e della preservazione della ricca storia e tradizione degli ebrei a Napoli. La comunità, oggi, cerca di mantenere viva la memoria del suo passato, promuovendo la comprensione interculturale e contribuendo al dialogo nella società napoletana contemporanea.